La Strada Racconta

DECIMA TAPPA: SIENA

Tra Dante guelfo e guelfo Cecco,pedala in silenzio e non ci metter becco

di Luca Bonechi

Percorrere la Via Francigena da Monteriggioni a Siena significa immergersi con la mente e con lo sguardo nel pieno del Medioevo e predisporsi a vivere una città che più di ogni altra mostra le meraviglie artistiche ed architettoniche di quel tempo tormentato.La Via Francigena attraversa tutto il centro storico fino all’antico spedale del Santa Maria della Scala e poi riprende in direzione sud a incontrar le lunari Crete e la bucolica Val d’Orcia.Il Santa Maria della Scala, uno dei più grandi ospedali europei, ha svolto a lungo funzioni di assistenza ai malati, ricovero dei poveri e accoglienza dei pellegrini. Visitarlo oggi è come ripercorrere la storia di quel tempo così come, alla vista del maestoso Duomo e del suo mirabile marmoreo pavimento, si può ben comprendere del perché Siena sia considerata una delle culle della scultura e della pittura italiana.Piazza del Campo, il Palazzo Comunale e la Torre del Mangia sono considerate universalmente come veri e propri luoghi iconici e gioielli inestimabili. Per farsi una idea di quanta ricchezza sia stata depositata nel tempo a Siena basta parcheggiare la bici e salire i 400 gradini della torre del Mangia, alta tanto quanto basta da raggiungere la quota del campanile del Duomo. E ciò per rimarcare la pari importanza del potere temporale con quello divino. Poteri ai quali poca attenzione pare abbia prestato il celebre campanaro Giovanni di Duccio, detto appunto Il Mangia in quanto dedito principalmente ai piaceri del cibo e del vino.Descrivere le innumerevoli bellezze della città è materia assai ardua e impegnativa, ognuno pertanto si adoperi a cercarsele dall’alto della torre volgendo lo sguardo alla città, alla cinta muraria, agli orti e alla campagna circostante che appaiono ordinate, immutate e fedeli alla rappresentazione fatta da Ambrogio Lorenzetti con gli affreschi del Buon Governo che si possono ammirare nelle sale del Palazzo Pubblico.E si può anche verificare quanto il percorso con la bici per far ingresso in città sia stato opportunamente modificato per cercar strade sconosciute e far provare il brivido, per chi lo ritenga tale, della salita di Santa Caterina, celebre per la gara di ciclismo internazionale. Entrare nella città vecchia da Fontebranda sfiorando una delle sue fonti più celebri può costituire una bella emozione, anche se si dovessero mettere i piedi a terra.Tre colli, tre terzi (a significare le suddivisioni storiche), 17 contrade del Palio e altrettanti musei e fonti storiche alimentate da acquedotti sotterranei chiamati bottini e, infine, i tanti tra predicatori, beati e santi tra i quali ben 4 canonizzati (Santa Caterina, San Galgano, San Bernardo Tolomei e San Bernardino) fanno di Siena la città “delle torri, delle campane e delle tante fontane”.Una città che ha avuto il massimo splendore nel periodo di rivalità con Firenze quando si affermò, a partire dal 1287 per quasi 70 anni, il “Governo dei Nove”. Un governo, appunto, di nove cittadini espressione del ceto medio che, a turno obbligati nei sei mesi di mandato a non uscire dal Palazzo Pubblico, riuscirono a garantire prosperità e una relativa pace alla città. Una pace non priva però di congiure, come quella dei “Carnaioli”: macellai, notai e magnati “uniti nella lotta” in quanto corporazioni escluse dal governo.C’è da dire che l’anima di Siena è connotata da due impronte che di sovente si sovrappongono e si intrecciano: il forte spirito civico e laico e il credo religioso che la pone storicamente sotto il manto protettivo della “Vergine”. Un virtuoso contrasto, se si vuole, che si può ritrovare nei due grandi poeti, Dante Alighieri e Cecco Angiolieri. Il primo fiorentino e il secondo senese ma entrambi guelfi. Il primo, il più grande tra i poeti del dolce stil nuovo e non solo; il secondo, poeta ribelle e sicuramente il migliore tra i comico-realistici.Entrambi innamorati ma non ricambiati da due fatali donne: Beatrice e Becchina.Di sicuro ci fu iniziale amicizia tra i due, se non altro perché impegnati in giovane età in un gioco pericoloso quale fu la battaglia di Campaldino contro i ghibellini aretini. Dei due, il sol Dante era convinto di quella missione diversamente dal ribelle Cecco, intollerante alle regole e furioso nei confronti dell’odiato padre che gli negava i denari per procurarsi donne, vino e i piaceri del mondo. Ma è altrettanto certo che qualcosa nel tempo si ruppe tra i due, tanto che ai primi sonetti inviati da Cecco a Dante fecero seguito missive di ben altro tenore. Tanto che, negli anni dell’esilio dalle loro città, “s’eo so fatto romano, e tu lombardo”, si consumò la definitiva rottura con la sarcastica sfida lanciata da Cecco: “Dante Alighier s’i’ so bon begolardo [fanfarone]/ tu mi tien’ bene la lancia e le reni/ s’eo desno con altrui, e tu vi ceni/ s’eo mordo ‘l grasso, tu ne sugi ‘l lardo...Dante Alighier, i’ t’averò a stancare / ch’eo so’ lo pungiglion, e tu se’ ‘l bue”.Molti studiosi hanno cercato di comprendere quali siano state le vere ragioni della rottura tra i due poeti riuscendo solo a dir con certezza che avean differenti caratteri. E in questi casi, laddove la scienza e lo studio non arriva, prendono corpo le più fantasiose ricostruzioni che maturano con lo scemar del vino dal fiasco nelle bettole.Purtroppo, Beppe di Bedo, una icona naïf di Siena, non c’è più e con lui riposa in pace Colonnino. Necessita allora far ricorso ad anonimi personaggi abituati a “prendere il sole all’ombra”. Tra di loro c’è che chi allude al fatto che, senza dar troppo nell’occhio, Dante avesse fatto studi a Siena e si recasse spesso in un vicino borgo chiamato, non per sua scelta, Orgia. In quel luogo appartato pare che abbia fatto conoscenze solitamente destinate alla compagnia di Cecco, avvezzo alle invettive e al fascino femminile tanto che nel celebre sonetto non disdegnò sottolineare due aspetti del proprio carattere: “ S’i’ fosse foco, ardere ‘ il mondo;/ s’i’ fosse vento, lo tempesterei;/ s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;/ s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;----/ S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,/ torrei le donne giovani e leggiadre:/ e vecchie e laide lasserei altrui”. Un indizio a riguardo potrebbe essere contenuto nel detto: “Dante e Cecco, tra guelfo e guelfo non metter becco”, ma da qui a pensare che Becchina e Beatrice fossero della partita ben ce ne corre.La verità non verrà mai alla luce al pari del fiume fantasma della Diana, ricercato a lungo e invano dai senesi. A tal proposito, c’è da dire che Dante è amato e al tempo stesso odiato dai senesi: ben otto sono targhe recanti i versi dell’opera dantesca che ornano i muri della città e un numero ancor più grande di personaggi senesi ha trovato posto all’Inferno, in Purgatorio o in Paradiso. Ce n’è per tutti.È certo però che mai verrà perdonato al sommo poeta di aver schernito Siena tramite l’invidiosa Sapia Salvani che nella Divina Commedia indica a Dante dove trovare i suoi familiari: “«Tu li vedrai tra quella gente vana / che opera in Talamone, e perderagli / più di speranza ch’ha trovar la Diana…”.Ora però è il tempo che ognuno si decida a mettersi in cammino verso la Via del Sale, avendo la certezza che la Diana è un puro miraggio e che Orgia porta un nome forse non del tutto appropriato per un bel borgo popolato perlopiù da arzilli anziani di belle speranze e di lunga vita.

UN’AVVENTURA IN TUTTI I SENSI

Respirar il buon odore del tufo, camminando nei bottini.

Cibarsi a colazione di sol panforte, ricciarelli e cavallucci.

Ascoltare il suono dei tamburi della contrada vincitrice del Palio.

Cercare invano la Diana, misterioso fiume sotterraneo.

Accarezzare i marmi del Duomo.