La Strada Racconta

SETTIMA TAPPA: POGGIBONSI

Trovar nella laboriosa Poggibonsi25 dormienti, 12 pulcinie una volpe d’oro

di Luca Bonechi

Trovar la strada che da San Gimignano porta fino a Poggibonsi non è poi tanto difficile per chi si accontenti di viaggiare in pericolosa promiscuità con i rombanti veicoli a motore. Trovare la silenziosa strada dei pellegrini e viandanti del Medioevo è altrettanto agevole perché c’è l’imbarazzo della scelta, tanto da far affermare a qualche valdelsano di influenza fiorentina che “se la coscienza è come la trippa e la viene da tutte le parti, la Francigena non è da meno”.Una buona traccia comunque non può che proporre un’escursione in direzione della Riserva Naturale di Castelvecchio attraverso la collina che, tra vigne di Vernaccia e uliveti, porta al borgo di Montauto: “Sopra d’un colle, al mezzodì di San Gimignano circa tre miglia, era un castello denominato Montagutolo, di cui tuttora scorgersi qualche vestigio presso alla pieve di tal nome” (Luigi Pecori). Qualunque sia la traccia scelta: Montauto, o quella che porta al guado del Molino degli Imbrotoni, o anche fuori rotta verso la villa del Caggio e Castelvecchio, il ritrovo è al laghetto della Casa delle Spezie, sosta della Francigena non molto distante dalla Torraccia di Chiusi dove sono emersi i resti di una villa romana. Chi avesse l’ardire di addentrarsi nella fitta boscaglia alla ricerca dei suggestivi ruderi di Castelvecchio, castello mai espugnato e rifugio ideale del falco pellegrino, tenga conto che, oltre ai vari fantasmi che vi risiedono stabilmente, vi abita una gallina che, nelle notti di plenilunio, ama portare a passeggio tra le rovine i suoi 12 pulcini d’oro massiccio. Poggibonsi va avvicinata con cura e scoperta dalla sua parte migliore, scegliendo la strada bianca che porta a Montemorli fino a sfiorare il Castello della Badia. Ben presto ci si accorge che il Creatore, nell’ intento di plasmare San Gimignano e le sue torri, non fece poi tanto male nel far cadere a valle i resti del suo “material divino”. Chissà se il detto “tra San Lucchese e Romituzzo polvere bagnata, annata fortunata” per augurarsi che piova tra la festa del patrono San Lucchese e la Madonna del Romituzzo, non abbia qualcosa a che vedere con la narrazione che a San Gimignano fanno sulla nascita delle due città. Sta di fatto che ben presto ci si accorge che l’operosa Poggibonsi non è fatta di sole industrie ma che è anche terra di pregevoli castelli e fortezze tanto da suscitare una piccata replica: “quel che cadde dalle torri non fu il giallo zafferano, ma il lavor per il progresso umano”.Le più antiche impronte della città si trovano nella collina di Poggio Imperiale, così come la moderna creatività ha sede nell’Archeodromo e i misteri son custoditi dalla Fonte delle Fate.La Fortezza Medicea di Poggio Imperiale, costruita agli inizi del Cinquecento per volontà di Lorenzo il Magnifico, rappresenta uno straordinario esempio del processo di formazione insediativa della Toscana: “Avvenne che al Magnifico Lorenzo per lasciar fama e memoria oltre alle infinite che procacciate si aveva, venne il bel pensiero di fare la fortificazione del Poggio Imperiale sopra Poggibonzi sulla strada di Roma, per farci una città, la quale non volse disegnare senza il consiglio e disegno di Giuliano da Sangallo; e per lui fu cominciata quella fabbrica famosissima, nella quale fece quel considerato ordine di fortificazione e la bellezza che veggiamo” (Giorgio Vasari). È la città nuova che si voleva costruire e non solo un’imponente fortezza con il Cassero. Di Poggiobonizio sono venute alla luce tracce e resti di un villaggio rurale ma quel mondo antico e la curtis carolingia vivono oggi grazie alla ricostruzione fatta dagli archeologi dell’Archeodromo, primo e unico open-air museum italiano dedicato all’Alto Medioevo.Ma nel camminamento che porta alla Fortezza e all’Archeodromo, il mistero della Fonte della Fate può essere fatale e cogliere a lungo l’attenzione del viaggiatore. Delle sette fonti medievali, la Fonte delle Fate è l’unica rimasta dopo che Poggiobonizio fu rasa al suolo dai Fiorentini nel 1270. Oggi ospita nelle sue acque “I Dormienti”, 25 sculture in bronzo di Domenico Paladino. Donne e uomini coricati in posizione fetale e coccodrilli si cullano nelle acque dando credito alla narrazione popolare che vuole che le acque e le paludi fossero luoghi ambigui protetti da misteriose creature. L’ipnotica musica di Bryan Eno, che sembra generarsi dalle acque, contribuisce a creare una atmosfera unica.E infine, per chi non ne avesse ancora abbastanza di suggestioni, una visita al Castello di Strozzavolpe potrebbe bastare. Se si presta credito alle leggende, le notti del castello sono indubbiamente animate dai fantasmi. Quello di Cassandra e del suo amante, murati vivi dal geloso marito Giannozzo. Quello della volpe mostruosa che spaventava cavalli e cavalieri, fatta impiccare da Bonifacio IV di Toscana e poi imbalsamata e farcita con oro fuso per scongiurare la profezia che il castello sarebbe crollato quando i vermi ne avessero completamente divorato il corpo. È materia abbondante per recarsi altrove, magari al castello della Magione, sede dei Cavalieri Templari, alla Rocca di Staggia oppure nella confortante sagrestia del Convento di San Lucchese.

UN’AVVENTURA IN TUTTI I SENSI

Apprezzare il delicato odore di fruttato del verde olio di oliva delle campagne.

Assaggiare il vino concio di Garipaldo, il cuciniere del villaggio dell’Archedromo.

Ascoltare il richiamo del falco pellegrino fatto di suoni acuti e pigolii prolungati.

Contare quanti coccodrilli ci sono tra i 25 Dormienti nella Fonte delle Fate.

Accarezzare le fresche chiare acque del guado dell’Imbrotoni.