di Luca Bonechi
Alla celebre invettiva “meglio un morto in casa che un pisano all’uscio” rivolta nei confronti dei pisani i quali, per conto dei fiorentini, si presentavano alle porte dei lucchesi a riscuotere le tasse, dalla città della Torre Pendente si rispondeva con uguale sarcasmo: “che Dio ti accontenti”. E, ben consapevoli della parsimonia lucchese, talvolta si aggiungeva una non poco amichevole sottolineatura: “un ebreo più un genovese non fanno un lucchese”.È così che, strada facendo, possiamo affrontare con il sorriso sulle labbra i trenta chilometri di facile pianura che separano la celebre Torre Pendente dall’altrettanto originale e unica Torre di Guinigi in Lucca, coi sette lecci piantati nella sua sommità. Molti dei chilometri che separano le due città toscane si percorrono lungo la ciclabile del fiume Serchio, un corso d’acqua a dir poco ribelle tanto che, nel cartello di ingresso posto nel borgo di Arena Metato, è stata impressa la nota A cerchiata degli anarchici, quasi a ricordare la massima di Proudhon (“la società cerca l’ordine nell’anarchia”).Ma andiamo per ordine e limitiamoci a celebrare il Serchio, croce e delizia delle genti pisane e lucchesi.Del fatto che l’antico corso del Serchio sia la principale causa della fortunata pendenza della Torre di Pisa si è già detto. Il Serchio, anticamente conosciuto come Auser, è stato da sempre un fiume irrequieto e refrattario alle regole. Ha più volte cambiato il proprio corso dividendosi in più rami, a nord e a sud di Lucca, prima di confluire nell’Arno a Pisa, così che la città divenne una vera e propria isola fluviale. Alle continue piene e alle devastanti alluvioni pose fine, nel VI secolo, Frediano, vescovo di Lucca, proclamato ben presto Santo per il miracolo compiuto di separare l’alveo del Serchio da quello dell’Arno, col risultato di bonificare l’intera area. La leggenda vuole che San Frediano abbia compiuto la miracolosa deviazione immergendosi nelle acque del fiume da dove, munito di rastrello, tracciò un profondo solco. (La verità è che il buon vescovo era anche un ottimo ingegnere idraulico.) Dopo di lui e fino al XVIII secolo, furono impegnate somme ingenti di denaro per continuare ed estendere la bonifica. Da qui il famoso detto: “ti è costato più del Serchio ai Lucchesi”. Il ribelle Serchio oggi è un fiume libero e non più portatore d’acqua all’Arno e di ciò le genti della lucchesia ne sono fiere. Lungo il Parco Fluviale del Serchio non è raro trovare filari di pioppi, casali con campi ben coltivati, ville, castelli ed eremi quali quello di Rupecava adagiato sulle colline di Ripafratta.Poco prima di arrivare a Lucca, si incontra un borgo di nome Nave che è all’origine dei conflitti tra Lucca e Pisa in epoca medievale. Lucca, stretta in una morsa dai vari rami dell’Auser, aveva una “nave” importante con la quale Eriprando traghettava i ricchi mercanti che venivano dalla Via Francigena. Al contrario, Pisa disponeva solo di un vecchio barcone, un “navacchio” con traghettatori di ben più basso lignaggio. Questa asimmetria fu portatrice di conflitti. Così che il Serchio, nelle varie epoche, è diventato teatro di scontri e sperimentazioni belliche quali le battaglie del Castruccio Castracani, abile condottiero lucchese del XIV secolo. E più tardi, nella Seconda guerra mondiale, divenne luogo di manovre della Regia Marina nel tratto di mare di fronte alla foce. Fu a seguito di tali stratagemmi marinareschi che venne alla luce il Siluro di Lenta Corsa chiamato “Il Maiale”. Ma a noi, che siamo ostili alle guerre tanto che non vorremmo che se le facessero neppure gli “altri”, piace di più ricordare il fiume ribelle con le parole dei sommi poeti.A partire da Dante quando, riferendosi al corrotto magistrato lucchese Martino Bottaio, immerso nella nera pece dell’inferno, fa affermare ai compiaciuti diavoli che “Qui non ha loco il Santo Volto! / Qui si nuota altrimenti che nel Serchio!”. Per non parlare di Giuseppe Ungaretti quando, nel ricordare le origini lucchesi dei genitori, scrive: “Questo è il Serchio / al quale hanno attinto / duemil’anni forse / di gente mia campagnola/e mio padre e mia madre…”.E queste sono tra le più belle cose sulle quali meditare, giunti alla Terrazza Petroni, a due passi da Porta Santa Maria in Lucca.Ma di questo e altro avremo modo di parlare appena saliti con la bici nell’“arborato cerchio” delle mura cittadine.
L’odore della zuppa di fagiolini di Vecchiano.
Il buon sapore della golosa “Torta co’ Bischeri” di Pontasserchio.
Lo squittir delle rondini sul greto del fiume al calar della sera.
La vista del martin pescatore, il variopinto uccello del fiume.
La conoscenza al tatto dei “Matildi”, antiche monete di scambio,
alla festa di settembre nel Castello di Nozzano.