La Strada Racconta

QUINDICESIMA e SEDICESIMA TAPPA - SAN VIVALDO-PECCIOLI || PECCIOLI-CASCINA

Le Balze, le miracolose fontane

e le foreste che portano alla “Gerusalemme toscana”

Da Pomarance a Volterra la “musica non cambia” nel senso che molte sono le strade che si possono prendere per giungere nella “città di vento e di macigno” come volle dire Gabriele d’Annunzio in Forse che si forse che no: “ Isabella forse in quell’ora viaggiava per Volterra, a traverso le crete della Valdera, a traverso le biancane sterili; vedeva di là dalla collina gessosa riapparire all’improvviso su la sommità del monte come su l’orlo d’un girone dantesco il lungo lineamento murato e turrito, la città di vento e di macigno”.
La Via Volterrana, tracciato principale della rete di antiche strade conosciute come le Vie del Sale è, assieme alla Via Francigena, una delle più antiche strade della Toscana che collegava Firenze con Volterra e poi con il mare. Itinerario strategico nel medioevo, luogo di scambi di merci e di culture; lungo i suoi selciati transitavano muli carichi di sale tanto da essere nota come Salaiola. La Via del Sale, già incontrata a Pomarance nel viaggio verso Volterra, si presenta nelle sue varie forme e consente al viaggiatore anche di discostarsene per conoscere luoghi ai più sconosciuti.
In sostanza, si possono seguire due tra le tante tracce. La prima su strada asfaltata, ma in larga parte solitaria e suggestiva, che porta prima a Micciano, poi scende a Ponteginori per risalire infine a Montecatini Val di Cecina. La seconda è disegnata su strade rigorosamente sterrate che dal fiume Cecina salgono da Saline fino a Volterra o, per i più ardimentosi, propone la via che passa dal borgo di Mazzolla.
Il fascino del percorso asfaltato è dato in primo luogo dalla scalata verso il borgo di Micciano, una delle porte di ingresso della Riserva Naturale Monterufoli-Caselli. Per salire a Micciano si affrontano i celebri “dieci tornanti del diavolo”, teatro di allenamento del pluricampione mondiale Paolo Bettini. La strada si inerpica fino al “Pinzo” da dove si può ammirare la valle del torrente Aido e, nelle giornate limpide, vedere gli appennini ed il mare. Dalla rupe di Micciano è possibile scorgere il borgo gemello di Libbiano aggrappato proprio sul rilievo di fronte. Chiedere a un abitante di Micciano come si chiami il borgo dirimpettaio può portare ad avere una risposta del tipo: “dovrebbe essere Libbiano ma comunque son di meno che a Micciano e da noi c’è più pace”. E di pace, intesa in tutte le sue accezioni, da queste parti se ne intendono, tanto che basta leggere cosa vi è scritto in una lapide a memoria dei morti in guerra: “Passeggiero, riferisci a Roma che noi siamo morti per avere obbedito alle sue leggi”.
Non lontano da questi luoghi, dove il genius loci governa incontrastato, si può arrivare al borgo medievale di Querceto, importante castello di Volterra a presidio delle miniere di rame, argento e mercurio. Ponteginori, villaggio industriale ben connotato da una precisa architettura, si raggiunge nella valle sottostante e magicamente si scopre che esiste una ferrovia da dove quattro treni al giorno consentono di raggiungere in meno di mezzora il mare di Cecina. Sia chiaro, la notazione è una semplice informazione e non un invito ad arrendersi per mollare la bici e andare a godersi il sole nelle spiagge toscane.
Montecatini Val di Cecina, il “Castrum Montis Leonis” con il suo storico “cannocchiale”, la Torre dei Belforti, si raggiunge salendo attraverso uno spettacolare scenario di campagna che nasconde l’animo industriale che nell’800 l’ha fatta ricca e prospera per la presenza della miniera di Camporciano, la più importante attività estrattiva del rame in Europa.
Al centro dell’epopea del rame vi fu la famiglia Schneider. Per capire quanto il duro lavoro di miniera riuscì a legare proprietà, maestranze e comunità si leggano le parole di commiato che Aroldo Schneider, direttore della miniera, rivolse agli operai al termine del proprio impegno: “Mi avete dimostrato esser bravi operai ed affezionati al vostro Capo, che con voi può dirsi formava una sola famiglia. Circostanze speciali m’imposero di abbandonarvi, però allontanandomi da qui vi resta il mio cuore, vi resta quanto di più bello e di più lusinghiero io abbia avuto nella mia vita”.
Il Parco di Archeologia industriale della Miniera di Camporciano merita una sosta e una visita: il pozzo di Alfredo, il pozzo Rostand, le officine e il Museo delle Miniere sono istruttive testimonianze del lavoro dell’uomo che, fin dagli etruschi, aveva compreso le potenzialità che potevano avere i minerali presenti nelle viscere della terra.
Le tracce che portano a Volterra attraverso le foreste di Berignone consentono, dal lato più impervio, di superare il guado sul fiume Cecina e salire poi lungo il sentiero che porta al borgo fortificato di Mazzolla. Sulla destra sono presenti degli inviti a lasciare il percorso principale per far visita al castello dei Vescovi e anche alla Dispensa di Tatti nata nel 1800 come caserma per le guardie incaricate alla vigilanza dei boschi e in seguito utilizzata dai boscaioli e carbonai come magazzino per le riserve alimentari.
Tirar diritto senza fidarsi del guado significa dirigersi verso Saline di Volterra dove si produce il sale più puro d’Italia. I cospicui depositi di salgemma racchiusi nel sottosuolo hanno costituito fin dai tempi degli etruschi una ricchezza valorizzata in senso industriale, in particolare nel ’700, in piena epoca granducale. Ma bisogna dire grazie anche al visionario architetto Nervi per aver realizzato il padiglione che ospita la surreale “cascata di sale”, una grandiosa montagna di sale purissimo avvolto magicamente dalle sinuose parabole della avveniristica costruzione.
“Ben cosparsi di sale” si arriva a Volterra, città centrale in ogni epoca nella vita politica, economica e sociale: capitale etrusca, importante municipio romano e potente città vescovile nel medioevo, Volterra domina dall’alto della sua collina i sottostanti calanchi e le famose “Balze”. Una straordinaria realtà tutta da vedere: la doppia cinta muraria, l’Acropoli etrusca, il Teatro romano, il Palazzo dei Priori, la cattedrale e il Museo Guarnacci sono solo alcune perle di una realtà dove i popoli hanno lasciato segni di civiltà inestimabili e dove le botteghe artigiane continuano ancora oggi a stupire il visitatore con le opere d’arte dei maestri alabastrai.
Se non bastasse, la campagna che circonda la città è unica grazie alle bellezze che madre natura le ha donato e alle inaspettate grandi sculture dell’artista fiorentino mauro Staccioli che, con cerchi, ovali, triangoli e altre forme geometriche ha impreziosito il paesaggio con una lettura moderna e rispettosa.
Lasciarsi Volterra dietro alle spalle non è cosa facile perché sorge il timore di perdere la bellezza e di non ritrovarla più. Ma se è vero, come ci hanno insegnato gli esteti greci, che la vita e l’arte sono fondate su equilibrio o, più semplicemente, che il concetto di bellezza deriva da come una cosa sia capace di fornire una sensazione durevole di piacere alla vista e all’udito, si può star tranquilli perché la bellezza lungo il nostro viaggio è sempre presente e senza confini. Come può non rassicurare una persona il sapere che più avanti, oltre l’inconfondibile profilo piramidale del Monte Voltraio, si possa incontrare la “Gerusalemme toscana” e, più avanti ancora, la sorpresa del “Triangolo verde”, ove si è dimostrato come sia possibile che si avveri ciò che Fabrizio De Andrè ha sempre sostenuto e cioè che “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”? Ma di questo ne parleremo più avanti, ora andiamo per ordine.

I due possibili itinerari che muovono da Volterra si distinguono per le caratteristiche del fondo stradale, ma sono entrambi di grande suggestione andando a riunirsi proprio al Convento di San Vivaldo. La traccia si dipana in larga parte su strade sterrate e porta in direzione della Riserva Naturale Montenero per poi salire ancora verso Poggio Cornocchio.

Per chi non ha fretta, una buona idea potrebbe essere quella di indugiare a lungo sul Monte Voltraio alla ricerca della chioccia con i suoi dodici pulcini dalle uova d’oro massiccio che, secondo la leggenda, rappresenta la confederazione etrusca e le città che la componevano. Più avanti il passaggio dalle cascatelle del torrente Strolla e lo spettacolare paesaggio naturale del Monte Nero sono anch’essi di conforto perché ci si rende agevolmente conto che la bellezza non se n’è andata via.

La strada sale sicura e felice di avere in sua compagnia due isole verdi immerse nelle vaste aree agricole circostanti: a destra la Riserva di Castelvecchio e a sinistra la Riserva di Montenero, meno estesa ma altrettanto interessante.

Le chiare acque del torrente Strolla, con un grande salto nel vuoto, formano una suggestiva e ospitale pozza. Una fitta rete di sentieri, tra forre spettacolari, si addentrano nei boschi e consentono di fare scoperte interessanti di luoghi antichi e residenze storiche come Ulignano, l’antica Pieve della Nera e, non lontano, i resti del castello medievale della Nera. E pensare che il Monte Nero e il fratello minore chiamato Nerino sono stati oggetto nel passato di affannose ricerche dell’oro. All’epoca, gli scavi e i pozzi contribuirono alla distruzione del patrimonio boschivo fino a quando fu chiaro che il minerale che veniva in superfice era solo un composto di terra, zolfo e altre sostanze che, per la loro lucentezza, parevano essere oro.

Per fortuna, nei secoli la natura ha ripreso il sopravvento e i verdi boschi ornano oggi gli aspri speroni di roccia di gabbro e di serpentino.

Ma le sorprese in questo mare di verde non finiscono mai perché, avendo pazienza e sete di conoscenza, ci si può imbattere anche in un’antica struttura in pietra di una piccola sorgente chiamata Fonte del latte della Nera. La quercia secolare che vigila sulla fonte è testimone di quanti viandanti e popolani vi si siano recati per attingere alle sue acque che, secondo una tradizione che ha origine nel culto pagano della fertilità, contengono delle proprietà magiche in grado di procurare latte alle madri.

L’incontro con la strada asfaltata avviene appena superato il borgo di Sensano, circondato da splendidi cipressi, verso Poggio Cornocchio.

Sono questi i territori di mai sopiti scontri, nel medioevo, tra Volterra e San Gimignano. Conflitti superati solo nel ’500 con la costituzione del Granducato di Toscana. Proprio alle vicende di Belisario Vinta, influente segretario del granduca e signore di Sensano, il regista Festa Campanile si è ispirato per la produzione del film Una vergine per il Principe interpretato, tra gli altri, da Vittorio Gassman. Capitò in quel tempo che il duca di Mantova, volendo sposare Eleonora, figlia del Granduca di Toscana, fu costretto, contro certe dicerie, a dar prova della sua virilità con una casta fanciulla, proprio di fronte a Belisario e a testimoni giurati.

Questo accadeva tanti secoli fa. Ma tant’altro e tutt’altro oggi accade in questi luoghi, perché qui abitualmente si “infrattano” gli amanti. Ed è anche capitato che fortunati ciclisti, trovandosi a passare per caso dall’alcova naturale del Cornocchio, abbiano colto prove per liberarsi finalmente da ingombranti e fedifraghe consorti. Ma sono storie queste che, nella nostra innocente narrazione, non possono trovare spazio se non con breve cenno. Sono cose inconfessabili, che vanno solo immaginate e basta. Meglio quindi pedalare a testa alta, con un bel casco a proteggerci da ogni pericolo e da ogni sorpresa. E guardarsi attorno, certo. Ma solo per bearsi delle tante pecore e caprette che pascolano tranquille nei campi di Camporbiano e del Castagno.

La traccia alternativa, completamente su belle strade secondarie asfaltate, consente al viaggiatore di ammirare il paesaggio delle Balze, le mura etrusche e la Badia Camaldolese, posta appena fuori l’abitato di Volterra. I panorami creati dal fenomeno naturale delle balze sono unici e lasciano a “bocca aperta”.

Purtroppo, per la caratteristica argillosa del terreno sottostante, le balze hanno creato nel tempo numerosi crolli divorando case, chiese e anche una necropoli. Si è salvata la Badia Camaldolese la cui costruzione risale al lontano 1034.

Uscendo da Volterra e poco prima della Badia si può incontrare un enorme blocco di roccia chiamato Masso di Mandringa. Un masso strano e “fuori posto”, come si usa dire, dove di notte, come vuole la leggenda, si riunivano le streghe per le loro danze sabbatiche e per celebrare il principe delle tenebre. Di certo vi è solo che dalla vicina e nascosta fonte medievale di Mandringa sgorga sempre un’acqua limpida, tanto celebrata che D’Annunzio gli dedicò alcuni versi: “Chi sciacqua le lenzuola / alla Docciola, convien che l’acqua attinga / alla Mandringa”. Ma è il tempo di muoversi a incontrare altri antichi borghi come San Cipriano, Villamagna e Iano. Questi anticipano l’arrivo al Sacro Monte dove è posto il Convento di San Vivaldo, un terziario francescano che viveva eremita dentro il cavo di un castagno. A parte le leggende sul santo eremita, si deve di fatto alla fantasia e alla dedizione dei frati Francescani Minori la costruzione delle venti cappelle che compongono il Sacro Monte della “Gerusalemme Toscana”. In questo modo, presso il Convento, si offre a tutti di fare il proprio pellegrinaggio senza doversi recare a Gerusalemme. E si offre anche la quiete di un luogo di preghiera lontano da streghe, diavoli e malefizi.

L’incredibile immersione nel “triangolo verde”,dove dal letame nascono i fiori

Dal convento di San Vivaldo all’anticoborgo di Castelfalfi, già luogo sacro per gli etruschi e oggi trasformato in unlussuoso resort, il passo è breve e, tutt’attorno, la campagna generosa offrevisioni spettacolari. L’obiettivo è arrivare fino a Peccioli, il “Borgo deiborghi 2024”. Per giungerci si può seguire la direttrice del “triangolo verde”o scegliere la strada che porta a Ghizzano, il paese colorato. La primasoluzione consente di passare per Libbiano ma, per gli amanti delle stradinesolitarie ma asfaltate, è consigliabile andare diritti per Legoli. Sia la viaper Libbiano che quella per Legoli consentono di fare conoscenza con quello cheè divenuto il tratto identitario di tutto il territorio: una discarica dirifiuti trasformata in catalizzatore di bellezza, cultura e ricchezza.

Siamo nel “Macca di Peccioli”, unoriginale esempio di museo d’arte contemporanea a cielo aperto diffuso sulterritorio. “Cose dell’altro mondo,” esclamano posando le carte da gioco sultavolo del bar di Legoli, alcuni ammiratori di Renzo Macelloni, il “sempreSindaco” in carica dal 1988, salvo una breve parentesi sabbatica, come siaddice a ogni “Creatore” che si rispetti. Ma la parola sabbath si addice benpoco all’indole di Macelloni perché, diversamente dal buon dio che creò per seigiorni e il settimo si mise a riposo, lui va ben oltre e, incurante di giocarsila beatificazione, si onora di esser stato creatore per sei legislature e dicontinuare il suo servizio per la comunità anche per la settima. Lungo lastrada che porta a Legoli ci si rende subito conto di quanto visionario econcreto al tempo stesso lui sia stato. Gli impianti di smaltimento eproduzione di energia del “triangolo verde”, gestiti in modo efficiente esostenibile da una public company partecipata dal comune e da ottocentocinquantapiccoli azionisti locali, smaltiscono trecento tonnellate all’anno di rifiutiproducendo una media di oltre cinque milioni di euro l’anno di plusvalenze.

La virtuosità del “sistema Peccioli” simostra subito nel borgo di Legoli, il più vicino agli impianti di smaltimentodei rifiuti. Le antiche case e le viuzze del borgo sono impreziosite dainstallazioni di arte contemporanea. Il tabernacolo del XV secolo di BenozzoGozzoli si confronta con moderne opere, come le gigantesche sagome in mattonidei “Quattro uomini muti” che sorreggono dei cavalletti in ferro per pittori.Un richiamo quest’ultimo al racconto di Plinio il Vecchio sull’origine dellascrittura e della scultura.

L’impianto di smaltimento, i suoi muri ele sue cisterne non vivono nell’anonimato grazie ai colori portati da DavidTremlett, maestro della neoavanguardia, alle decorazioni di Sergio Staino ealla presenza dei primi giganti “Naturaliter”.

Chi avesse preso la strada di Libbiano,sempre passando dagli impianti, si trova immerso in una campagna ben curata enon priva di sorprese. L’attrazione questa volta è data dalla presenzadell’Osservatorio astronomico Galileo Galilei, dotato di una cupola di 4,25metri di diametro e di un ottimo telescopio tanto da rendere possibile nel 2009la scoperta di un nuovo asteroide che ha preso il nome di Peccioli.

A chi intendesse proseguire diritto,essendo giunto al bivio che porta all’impianto di Legoli da una stradasolitaria e panoramica, è presto servito l’incontro con Ghizzano, il paesecolorato. La “via di Mezzo” del borgo è un’esplosione di colori, dominati dalmarrone e dal verde, a segnare la continuità della strada con le dolci collinedell’intorno. Ogni facciata e ogni serramento delle case lungo la strada sonosapientemente colorate da David Tremlett, il noto artista inglese maestro delwall drawings, l’arte del disegno nei muri. “Era importante che si riuscisse adavere la percezione della strada come un’unica unità, un’unica strada,dall’inizio alla fine,” queste le ragioni dell’intervento dell’artista che haunito la bellezza delle sue realizzazioni alle installazioni di PatrickTuttofuoco e di Alicja Kwade.

Ma Ghizzano è un buon motivo anche per unavisita al “Giardino sonoro”, uno spazio delle meraviglie che ogni estate vibradi musica. Nel giardino si trovano le tre piante sacre della tradizione ebrea,cristiana e musulmana. (Forse Seth, il terzo figlio di Adamo, nel mettere nellabocca del padre morto i semi di tre piante sacre, il cipresso, l’ulivo e ilcedro, auspicava altra sorte del mondo rispetto all’esplosione di odio e guerretra le religioni.)

E così che si arriva a Peccioli, il cuoredel “triangolo verde”, borgo sorto in tempi lontani attorno ai piedi di unarocca longobarda. Siamo in un museo a cielo aperto dove tradizione einnovazione convivono in armonia. “La felicità è una via,” è la grande scrittache accoglie i visitatori e li conduce dalla passerella che collega il borgoantico con la parte nuova dell’abitato, al palazzo Pretorio, al MuseoArcheologico, all’Anfiteatro di Fonte Mazzola dove troneggia uno dei gigantiNaturaliter, al Palazzo senza Tempo fino alle sessanta installazioni coloratedi artisti contemporanei poste lungo le vie. Tutto questo è il frutto, inqualunque modo la si possa pensare, di una visione del mondo e del tempolungimirante e molto concreta. È pur vero che, secondo il movimento Zero Waste(zero rifiuti), si debba puntare esclusivamente al riuso e all’utilizzo degliscarti, attraverso le buone pratiche, evitando inceneritori e discariche. Ma èaltrettanto vero che, in attesa del “paradiso ambientale”, si debba evitare dicadere nell’emergenza, come avviene in molte parti del mondo. E questo aPeccioli lo sanno bene, avendo trasformato le attuali modalità di trattamentodei rifiuti in un catalizzatore di bellezza.

In attesa che le buone pratiche diano iloro frutti, i rifiuti intanto si smaltiscono correttamente, si produce energiaelettrica e biometano. E lo sanno bene anche i due simpatici personaggi dellafavola ecologica educativa di Staino, Pecciolo e Talquale, che, dopo lungoperegrinare, trovano in Prosecco di Sopra (in arte Peccioli), il luogo adattoperché la sporcizia, l’aria malsana e la terribile puzza venga sconfitta.

Michelangelo e il cartonedella battaglia di Cascina distrutto per gelosia

Per gran parte del viaggio saremo in Vald’Era e ne usciremo solo alle porte di Cascina, vivace cittadina in rivaall’Arno. (A onor del vero, la Val d’Era va anche oltre, insinuandosi fino aButi nei Monti Pisani ma di questo parleremo più avanti.) Il territorio offreuna grande varietà paesaggistica e artistico-culturale per non parlaredell’aspetto economico con produzioni agricole di pregio che si accompagnanoalla primaria industria del mobile e, come dimenticarlo, al mito della Vespaprodotta dalla Piaggio nello stabilimento di Pontedera.

Lasciamo Peccioli dal suo ParcoPreistorico animato dal gigantesco brachiosaurus, dal temibile tyrannosaurus ealtri dinosauri quali il velociraptor. Che non dev’essere imitato perchéconviene andare piano e arrivare a Capannoli nel pieno delle forze.

Per la gioia dei piccini, e ancor più deigrandi, Capannoli offre ogni anno, con la tradizionale Fiera degli uccelli,qualcosa di più reale della ricostruzione di un dinosauro. La fiera si tienenel parco di Villa Baciocchi, un edificio in stile tardo-barocco posto sullasommità del colle dove anticamente sorgeva la fortezza.

Villa Baciocchi val bene una sosta con ilsuo Museo Archeologico, il Museo Zoologico e il Parco Botanico. Tutto intorno aCapannoli si possono ammirare oliveti, frutteti e vigneti dai quali si produceil prelibato Bianco Pisano di San Torpè.

La campagna è fiorente tanto da esserenobilitata dalla Strada del Vino delle Colline pisane che a tratti coincide conil nostro viaggio. Lungo la strada principale che da Capannoli porta a SanPietro Belvedere si incontra uno dei luoghi simbolo pellegrinaggio delle dueruote: la Madonnina dei ciclisti.

Nella piazza centrale di San PietroBelvedere, tanto per non esser da meno di Peccioli, si replica la mostra d’artea cielo aperto con le sculture di “Equilibri in natura” realizzati daNaturaliter. Alle Quattro Strade di Perignano si dividono le tracce delpercorso, per arrivare fino a Cascina. L’itinerario più comodo è per Cenaiadove il latino caenum (“fango”) segnala le antiche paludi ai piedi delcastello.

Torre Cenaia è sicuramente l’attrazionepiù importante e misteriosa del luogo. La lapide sulla cappella di Sant’Andrea,ancorché di varia e incerta interpretazione, fa cenno a uno o più miracoliattribuiti a Santa Giulia. Sicuro è il ben noto “miracolo del quadro”. Nel XVIsecolo, alcuni devoti corsi commissionarono a Pisa una pala d’altare che laraffigurava, destinata a una chiesa dell’isola. Il dipinto fu imbarcato aLivorno ma il bastimento non riuscì a lasciare la banchina, nonostante il marefosse calmo. Nel 762 Desiderio, re dei Longobardi, fece traslare le spogliedella santa dal monastero dell’isola di Gorgona a Brescia. Quali altri miracolisiano avvenuti sol Dio lo sa e forse neppure ne hanno precisa cognizione ifratelli laici livornesi dell’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e diSanta Giulia.

Ai miracoli e ai misteri di Cenaia siaggiunge quanto è narrato nel Liber Miracolorum su Sant’Antonio daPadova, rappresentato anche in un dipinto della Cappella della chiesa a Torredi Cenaia. Il santo trascorreva le sue giornate in una celletta di legnofattagli costruire dal conte Tiso. Questi, andando a fargli visita, fu colpitoda un intenso bagliore, quasi un incendio, proveniente dalla cella. Di incendioperò non si trattava: era Sant’Antonio che ardeva di luce, stringendo tra lemani il piccolo Gesù.

Questa è materia di grande stimolo perogni credente. Ma, siccome tra chi viaggia c’è chi crede e chi non crede, perquest’ultimi vi è la scelta di recarsi all’azienda agricola, a mangiare e abere vino o birra di indubbia produzione locale. Un contadino pisano, poi, cheracconti a cosa possa servire il piccolo tralcio di vite chiamato “Barbatella”,può distogliere la mente del ciclista laico da argomenti ben più mistici eprofondi.

La traccia che porta a Lavaiano e poi aLatignano, piccoli borghi un tempo al centro tra le contese di Pisa conFirenze, contiene una buona dose di strade sterrate che si dipanano tracasolari, ville padronali e fattorie.

Chi si trovasse a Latignano a cavallo trai mesi di agosto e settembre può provare ad assaporare il clima genuino di unadelle tante sagre toscane, in questo caso la “Sagra del Papero e della Trippa”.Buon appetito e benvenuti in quel di Cascina dove i contadini, con una buonadose di impegno e abilità, hanno saputo reinventarsi e si sono convertiti inottimi mobilieri.

E finalmente incontriamo di nuovo l’Arno,testimone della celebre battaglia di Cascina combattuta dai fiorentini contro ipisani. Ecco come Giovanni Villani descrive l’incolpevole ruolo avuto dall’Arnoin una giornata dal caldo opprimente: “[…] Messer Galeotto Malatesta capitanode’ Fiorentini, movendo la notte dinanzi campo Peccioli, la mattina s’accampòne’ borghi di Cascina presso Pisa […] e infra il giorno per lo smisurato caldole tre parti e più dell’oste […] si bagnava in Arno, quale si sciorinava almeriggio, e chi disarmandosi e in altro modo prendea rinfrescamento”.

I fiorentini devono merito a Mario Donatidi averli avvertiti in tempo dell’imminente attacco dei pisani, consentendoalle truppe di attrezzarsi per affrontare e vincere la battaglia. Questo fattod’armi, secondo il volere di Pier Soderini, gonfaloniere di Firenze, dovevaessere rappresentato in un affresco celebrativo. E fu proprio MichelangeloBuonarroti a preparare il cartone della battaglia, disegnando una moltitudinedi corpi nudi in movimento impegnati a ricomporsi per il combattimento. Mal’arte di Michelangelo è rimasta solo nel cartone preparatorio. L’affresco nonfu mai realizzato. Del perché si ha una ipotesi riportata dal Vasari cheattribuisce la distruzione del cartone a Baccio Bandinelli, rivale in arte diMichelangelo e ammiratore di Leonardo da Vinci che, guarda caso, nello stessoperiodo, stava portando a termine l’affresco della battaglia di Anghiariproprio nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio.

Questi i fatti e i misfatti di un tempo.

Di certo vi è che l’Arno, a Cascina, è unfiume ancora navigabile e popolato di pesci di specie varie e frequentato damolte persone che niente hanno a che fare con soldati armati in cerca difrescura estiva e magari sazi di una vera prelibatezza coltivata in valle: è lapiattella pisana, un fagiolo di origini antiche, unico per il suo sapore eprofumo. Provare per credere.