di Luca Bonechi
Non è impresa facile trovare la migliore traccia che da Altopascio ci porti a Fucecchio, laddove “la Francigena si specchia nell’acqua”. Bisogna evitare il traffico e cercare la bellezza che a ben guardare si nasconde ovunque, silenziosa e timida, quasi intimorita per gli invadenti fenomeni di urbanizzazione dei giorni nostri.Galleno – il paese delle tre province in quanto diviso paradossalmente tra Firenze, Pisa e Lucca, tanto che gli abitanti hanno difficoltà a capire a quale delle città far riferimento – è il luogo da dove le tracce del viaggio si dividono. Alcune vanno in direzione della Riserva delle Cerbaie e altre a incontrare le prime acque del Padule di Fucecchio.Se Galleno divide, Ponte a Cappiano unisce. Il ponte Mediceo sul fiume Usciana, raffigurato in un disegno da Leonardo, e il selciato del paese mostrano l’antico aspetto del passaggio storico della Via Francigena. A Ponte a Cappiano si può arrivare attraverso i fitti boschi della foresta incantata delle Cerbaie dove si possono trovare ancora piante rarissime come la carnivora drosera rotundifolia e la tropicale osmunda regalis, quest’ultima risalente a dieci milioni di anni fa.Difficilmente ci si può sottrarre all’incanto di un passaggio in direzione del Padule di Fucecchio, la più vasta palude italiana di grande interesse naturalistico. Oltre al fascino dei canneti, della natura incontaminata, il Padule conserva la memoria antica delle vicende storiche legate ai Medici e ai Lorena, i canali, i porti, le tracce delle antiche lavorazioni delle erbe lacustri e, purtroppo, anche il più recente ricordo del barbaro eccidio nazifascista in cui trovarono la morte 145 persone innocenti.A Porto del Sordo, avendone tempo, si può far conoscenza di uno degli ultimi barcaioli che con il suo barchino porta gli avventurosi visitatori alla scoperta del tesoro del Padule. Un tesoro costituito da ben 13.016 uccelli rari (censimento del 2022) come il mignattaio o la cicogna bianca o, addirittura, il tarabuso forte di soli cinque esemplari.L’avvertimento più importante è di evitare di far la fine di Annibale che, come scrive Tito Livio, per arrivare a Roma, scelse la via più breve “attraverso le paludi, dove il fiume Arno era straripato in quei giorni più del solito”. Stremato dalla fatica e dall’aria palustre, se pure in sella all’unico elefante sopravvissuto, Annibale qui vi perse un occhio.Attenzione, pertanto, a tenere entrambi gli occhi bene aperti e saldi fino a giungere sani e salvi a Fucecchio. La città di Indro Montanelli, nata nell’anno Mille attorno al castello di Salamarzana posto a guardia del guado dell’Arno e della Via Francigena, custodisce nell’Abbazia di San Salvatore un prezioso organo del Cinquecento dotato anche di “voce umana”.Pian piano, si esce dalle “zone umide” e si va incontro alla terra del tartufo. San Miniato, la storica stazione della Francigena, si incontra appollaiata su di un ameno colle. Un tempo città di vescovi e imperatori e oggi città del gusto e dello “slow food”, per merito del pomodoro grinzoso, del mallegato, dell’oliva mignola e, in particolare, del pregiato tartufo bianco. La Rocca di Federico II di Svevia e la Torre di san Miniato, simbolo della città assieme alla magnifica Cattedrale, non possono far passare in secondo piano la curiosità di scoprire la “Casa de’ Maestri”, posta subito fuori Porta Fiorentina e un tempo affittata da un oste di nome Afrodisio a tre professori del ginnasio assai libertini. Uno di questi era il giovane Giosuè Carducci. Appena arrivati in San Miniato, i tre maestri “si accontarono con una brigata di giovinetti, piccoli possidenti e dottori novelli, che passavano tutte le sante giornate a mangiare e bere, a giocare, amare, dir male del prossimo e del governo”, tanto che la casa, come scrive lo stesso Carducci nelle Risorse di San Miniato, cominciò presto ad aver la “mala voce all’intorno per i molti strepiti che vi si udivano di notte e di giorno, ogni qualvolta l’allegra compagnia la invadesse”.Le vicende del giovane Carducci hanno interessato storici e letterati ma, se agli anziani di San Miniato si dovesse chiedere di citare un nome che li ha tenuti con il fiato sospeso e la vigile attenzione, si avrebbe una risposta certa: la Strega Barbuccia. Questo strano personaggio aveva eletto la sua misteriosa dimora alle Fonti alle Fate. Il luogo era a dir poco inquietante tanto da essere così descritto: “…in quel punto la campagna era orrida: la china del poggio scendeva giù a picco, sprofondando in un ampio burrone…” E Barbuccia non era da meno: “…una bruttezza straordinaria, quasi schifosa, ed al primo vedersela dinanzi si provava ribrezzo e spavento”. Eppure, Barbuccia aveva i suoi affezionati clienti e in molti si recavano da lei per conoscere quale fosse il loro destino. Se proprio si vuole andare a cercare questo luogo magico si sappia che Barbuccia non c’è più e nulla c’è da chiedere né da temere.Per raggiungere le Fonti alle Fate basta prendere con la bici via delle Fonti e proseguire fino a un bel parcheggio. Niente di orrido, dunque. Ma nel caso l’emozione abbia fatto perdere a qualcuno l’orientamento, è agevole chiedere lumi (ma con circospezione) agli amici dell’Associazione “Moti Carbonari – Ritrovare la strada” che ha sede proprio nella contigua Sala del Bastione.
Il profumo intenso di terra bagnata e sottobosco del tartufo bianco di San Miniato.
Il sapore antico dei fegatelli fucecchiesi.
Il canto del cuculo della rocca di Federico II a
indicare gli anni di durata di un amore.
Osservare a lungo gli uccelli nel Padule di Fucecchio
nella speranza di scorgere il Tarabuso.
Toccare con mano la qualità superiore del “Cuoio di Toscana”,
prodotto nel Distretto del Cuoio.