La Strada Racconta

DICIASSETTESIMA E DICIOTTESIMA TAPPA CASCINA-PISA || PISA-SAN ROSSORE

Cantar d’ottava rima sul monte dove l’Occhio dei Pisani attento vigilava, a scongiurare l’arrivo del nemico

A Cascina si pone la scelta forse più difficile del viaggio: seguire il fiume Arno percorrendo la ciclabile fino alle porte di Pisa, oppure superare il ponte in direzione Lugnano e arrampicarsi sul Monte Serra, a respirare il profumo dei castagni? Scelta difficile ma necessaria.Chi si separa, si può ritrovare a Mezzana, una frazione di San Giuliano Terme ma già periferia di Pisa e molto vicina ai Condotti Medicei che porteranno proprio nel centro della città.Dell’Arno e delle vie d’acqua parleremo nell’ultima puntata del nostro viaggio. Ora è il tempo dei Monti Pisani che offrono presenze storiche e scorci paesaggistici ineguagliabili, risparmiando al viaggiatore il traffico veicolare presente nelle periferie di ogni città. Vicospiano, la sua Rocca e il Palazzo Pretorio si trovano presto lungo la strada. Filippo Brunelleschi, l’architetto dei Medici, escogitò un geniale metodo difensivo con la costruzione di un poderoso muraglione merlato che dalla Rocca arrivava fino alla Torre di Soccorso posta vicina all’Arno così che, in caso di assedio, le barche potevano approdare in una caletta e scaricare uomini, viveri e polveri per la difesa.Lasciato Vicospiano si fa un torto alla vicina Bientina per prendere la strada solitaria che sale sul monte Serra, la più alta vetta della piccola catena dei Monti Pisani.La strada che porta al luogo del cuore del Fai (Fondo Ambiente Italiano) è stretta ma di grande fascino per il ciclista e per chiunque non viaggi con la fretta dei tempi moderni. A mano a mano che si sale, gli oliveti lasciano spazio al bosco popolato da ampi castagneti. Molti sono i sentieri che consentono agli escursionisti di immergersi nel verde, purtroppo troppo spesso divorato da devastanti incendi. Infiniti sono i panorami che si possono ammirare salendo fino alla vetta.Dalla Rocca della Verruca, immersa nel folto bosco del monte, i pisani controllavano tutta la valle dell’Arno. La fortezza veniva chiamata “Occhio dei Pisani” e si racconta che lo stesso Leonardo da Vinci l’avesse utilizzata per studiare come fosse possibile deviare il corso dell’Arno per allagare Pisa e, con migliori propositi, vi prese ispirazione per progettare le macchine volanti.La sosta obbligata a metà della salita è nel suggestivo borgo di Buti nei secoli costruito, distrutto, bruciato e ricostruito a causa delle terribili guerre tra Pisa, Lucca e Firenze. Il borgo fortificato medievale è posto in posizione strategica e porta ancora tracce di quei tempi, come la fortificazione di Castel Tonini.Buti è oggi quieto paese, con una forte impronta identitaria per il suo carattere agricolo. La produzione di olio pregiato, la raccolta delle castagne e le lavorazioni artigiane del legno sono le attività dominanti che hanno consolidato le tradizioni contadine. Il “Canto del Maggio” è l’espressione più autentica di un popolo colto e unito, così come ci era capitato di vedere a Belforte.Al Teatro Francesco di Bartolo, la piccola Scala di Buti, la Compagnia Pietro Frediani rappresenta ogni anno un Maggio epico in ottava rima. Erede della più antica tradizione pagana, questa forma di tradizione popolare trova dei punti di riferimento nei grandi poeti come l’Ariosto e il Tasso.Pastori, falegnami, contadini si sono alternati nel tempo per trasmettere oralmente antiche storie e poemi classici, andando così a creare un forte elemento di crescita e coesione di tutti, a partire dalle classi subalterne. “Le ottave che ho cantato, a metterle in fila saranno quaranta o cinquantamila.” Queste le parole di uno dei maestri della poesia estemporanea, il mezzadro Nello Landi da Buti, compositore di ben quattordici Maggi. E questa è l’ottava dedicata a lui da un amico poeta, Emilio Romanelli: “Verso Buti ora vola il mio pensiero, / vi abita un carissimo collega / si chiama Nello Landi amico vero / grande stima reciproca ci lega. / Usa un linguaggio chiaro e veritiero /cui dà risalto e belle cose spiega, / da uomo saggio scrive ben preciso / perfettamente canta all’improvviso”. Cosa si può leggere in questi semplici versi? Sicuramente un autentico amore per la poesia, per la vita e per “le amicizie non pelose”, quelle vere e non dettate da un interesse particolare.Superata la vetta, la discesa verso Calci è spettacolare ed è accompagnata dal torrente Zambra che si insinua nelle stradine del paese, tanto che fino al secolo scorso a Calci si contavano ben cento mulini. La Pieve dell’XI secolo dei Santi Giovanni Avangelista ed Ermolao costituisce un mirabile esempio dello stile romanico pisano.Calci, assieme ad altri piccoli borghi, costituisce un comune diffuso nella Valgraziosa, un anfiteatro naturale alle pendici dei Monti Pisani. È del tutto scontato che, come Buti e Vicospiano e la citata Fortezza della Verruca, Calci medievale fosse militarmente un centro strategico e pertanto teatro di continui scontri armati.Poco distante dal paese, c’è un luogo di pace: la bellissima Certosa del XV secolo in stile barocco. Sorta grazie a un munifico lascito di un mercante armeno, mantiene oggi tutto il fascino del complesso monumentale abitato dai frati certosini. Parte della Certosa ospita un museo tra i più antichi al mondo, il Museo di Storia naturale e del territorio dell’Università di Pisa. Nato per volontà di Ferdinando I dei Medici, in esso sono esposti oltre quattrocento anni di storia della ricerca scientifico-naturalistica. La galleria dei cetacei, il settore di paleontologia con i dinosauri, la galleria degli acquari e tanti reperti di zoologia, fossili e minerali costituiscono beni preziosi e una straordinaria memoria scientifica dalla quale è difficile allontanarsi.Ma il tempo di muoversi si presenta sempre in anticipo ed è l’ora di unirsi a coloro che hanno scelto l’Arno e che probabilmente si trovano in paziente attesa alle porte di Pisa.

E dopo aver “attraccato” la bici nei “Porti di terra”,scoprimmo che anche il fiume e il mare hanno portia cui approdare

Nel corso del nostro viaggio abbiamo parlato a lungo della terra, non tanto per far torto alle acque e ai tanti fiumi, torrenti, paludi e piccoli laghi che abbiamo incontrato, ma per il solo fatto che la bici si muove accarezzando le strade di terra (anche se talvolta sono rivestite di asfalto). Ma ora che siamo giunti sulle rive dell’Arno e assai vicini al mare, conviene dare giusto spazio alle acque, gioia e delizia di Pisa.Il viaggio lungo la ciclabile dell’Arno da Cascina fino alle porte di Pisa consente di fare conoscenza con il più celebrato dei fiumi italiani che termina il suo corso proprio nella città della torre pendente. Scrivere d’Arno è cosa ardua a meno che non ci si consideri almeno vicini nell’arte poetica a Dante, Leopardi o D’Annunzio, per citare solo tre dei più noti cantori del fiume. Meglio prendere in prestito dai maestri alcuni passi per dare una idea di ciò che il fiume trasmetteva, e può sempre trasmettere, a chi ci si avvicina.Che il tratto fiorentino dell’Arno fosse amato da Dante non vi è alcun dubbio. Molti dubbi invece per quello pisano. Alla domanda che gli rivolgono due frati nel girone degli ipocriti (Inferno, canto XXIII), “O Tosco, ch’al collegio / de l’ipocriti tristi se’ venuto, / dir chi tu se’ non aver in dispregio”, Dante risponde: “Io fui nato e cresciuto /sovra ‘l bel fiume d’Arno alla gran villa”. Esser nato sulle rive dell’Arno per Dante era motivo di orgoglio tanto che avrebbe visto volentieri finire il suo corso a Firenze e, non essendo ciò possibile, pensò bene di lanciare la famosa invettiva contro l’ostile Pisa: “Ahi Pisa, vituperio delle genti / del bel paese là dove ‘l si suona, /poi che i vicini a te punir son lenti, / muovasi la Capraia e la Gorgona, / e faccian siepe ad Arno in su la foce, /  sì ch’elli annieghi in te ogne persona!” (canto XXXIII).Di diverso avviso del Sommo poeta sono Leopardi e D’Annunzio, entrambi incantati da Pisa e dall’Arno tanto da esservi ispirati per creare versi celebri. Se non ci fosse stato l’Arno probabilmente la nota lirica “A Silvia” non sarebbe mai nata.Leopardi, trasferitosi a Pisa nel 1827, ritrovò lungo l’Arno l’amore e l’ispirazione e anche un briciolo di salute. “Mi pare di esser tornato al mio buon tempo antico,” scriveva alla sorella Paolina, “L’aspetto di Pisa mi piace assai più di quel di Firenze. Questo lungarno è uno spettacolo così bello, così ampio, così magnifico, così gaio, così ridente che innamora: non ho veduto niente di simile né a Firenze né a Milano, né a Roma, e veramente non so se in tutta l’Europa si trovino vedute di questa sorta. Vi si passeggia poi nell’inverno con gran piacere, perché v’è quasi sempre un’aria di primavera: sicché in certe ore del giorno quella contrada è piena di mondo, piena di carrozze e di pedoni: vi si sentono parlare dieci o venti lingue, vi brilla un sole bellissimo tra le dorature dei caffè, delle botteghe piene di galanterie e nelle invetriate dei palazzi e delle case, tutte di bella architettura. Nel resto poi, Pisa è un misto di città grande e di città piccola, di cittadino e di villereccio, un misto così romantico, che non ho veduto mai altrettanto. A tutte le alte bellezze, si aggiunge la bella lingua”.Per non esser da meno, settanta anni dopo Gabriele D’Annunzio sceglie Pisa, considerata una delle città del silenzio, per dar vita al suo grande progetto poetico: le Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi. Che l’Arno di Pisa avesse il merito di aver ispirato il poeta per la composizione della lirica “Alcyone” è vero e basta rileggersi cosa scriveva D’Annunzio all’editore Treves disteso nella sua barca a Marina di Pisa: “Ho passato questi giorni in una quiete profonda, disteso in una barca al sole. Tu non conosci questi luoghi: sono divini. La foce dell’Arno ha una soavità così pura che non so paragonarle nessuna bocca di donna amata. Vorrei rimanere qui a cantare. Ho una volontà di cantare così veemente che i versi nascono spontanei dalla mia anima come le schiume dalle onde. In questi giorni, in fondo alla mia barca, ho composto alcune Laudi che sembrano veramente figlie dell’acque e dei raggi, tutte penetrate di aria e di salsedine”.Che dire? È mai possibile ai tempi d’oggi cercare di vivere qualcuna delle sensazioni descritte evitando, magari, di metterle in poesia? Difficile ma non impossibile. Per tentare di farlo bisogna tuffarsi nella storia cogliendone gli aspetti più istruttivi e bisogna tuffarsi nella natura che non è scomparsa ma cerca di vivere alla meglio un periodo nuovo e diverso, ricco di insidie ma anche di grandi opportunità.Bisogna cercare il meglio. Che talvolta è lontano dai luoghi del vivere quotidiano ed è nascosto nel silenzio ma mai nell’abbandono. La scelta di entrare in Pisa dalla panoramica di via dei Condotti, in larga parte supportata dalla ciclabile, non è casuale. L’Acquedotto Mediceo è un’opera dal fascino antico con i suoi novecentotrentaquattro archi che da Asciano si snodano in pieno centro-città fino al Porto delle Gondole. Da qui partivano i “navicelli” in direzione-Livorno per trasportare merci e in direzione-Bagni di San Giuliano per condurre ricchi signori ai bagni termali. La clientela doveva essere così riservata ed esclusiva che un editto del Comune vietò alle prostitute di utilizzare il navicello per spostarsi. A loro e ai tanti pisani di basso lignaggio desiderosi di recarsi ai bagni del Gombo a San Rossore, non rimase che la carrozza, fino alla nascita dell’economica linea di navigazione fluviale con il battello.L’Arno ha presenziato le varie fasi alterne, belle e brutte, della vita di Pisa: dagli etruschi, ai romani, alla nascita e morte di Pisa Repubblica Marinara, con le glorie del Porto Pisano distrutto dai genovesi a seguito della battaglia della Meloria, fino ai Medici. Ognuno vi ha messo del suo. Il Porto Pisano, simbolo della fioritura della città, perse poi ogni suo ruolo e Pisa, con la conquista del 1406 da parte di Firenze, si allontanò per incuria dal mare lasciando di nuovo spazio ad acquitrini e paludi litoranee.Una storia, quella di Pisa e dell’Arno, che è mirabilmente raccontata al Museo delle Navi Antiche di Pisa presso gli Arsenali Medicei sul lungarno pisano. Nel museo sono esposte sette navi di età romana e ottomila reperti meravigliosamente conservati presso la Stazione ferroviaria di San Rossore. Questa “Pompei delle acque” racconta il mirabile e contrastato rapporto che nei secoli la città ha avuto con il mare e con il fiume. Così facendo si è giunti alla meta di un viaggio lungo le antiche vie di terra ma con il mare e le acque sempre sullo sfondo se non presenti. Così pedalando si è accarezzato il cielo con gli occhi, respirato e assaporato buone cose. In fondo si è immaginata la vita come vorremmo che fosse, felice e lenta a dispetto del tempo che passa sempre troppo veloce e non sempre piacevolmente. Ed ora? Si resta a San Rossore o si parte di nuovo? E dove?  “Ti invito al viaggio/in quel paese che ti somiglia tanto”, così ci vengono in soccorso Sgalambro e Battiato in un mirabile adattamento del componimento di Baudelaire. Testo e musica ispiratrici della chiusura di un Bruscello (poema in ottava rima) da me scritto e messo in scena vent’anni orsono. Guarda caso, in quella modesta opera di teatro contadino si parlava proprio di Ulisse appena approdato a Itaca dopo lungo peregrinare: “Dentro di noi c’è un uomo che desidera andare. Dove non importa. L’importante è andare. Ulisse, il giorno dopo la strage, si svegliò e vide accanto a sé Penelope che dormiva. “Come sono felice,” pensò l’eroe. “I Proci sono morti e nella reggia regna il più assoluto silenzio.” Poi andò nella stanza del figlio: anche Telemaco dormiva. “Come sono felice,” pensò ancora una volta Ulisse. Poi si recò al porto. Vide una nave e disse ai marinai: “Si parte”.